Il fenomeno globale dei "Quiet Quitter"​: chi sono?

A cura di Silvia Vianello

Un fenomeno che in poco tempo è già diventato un fenomeno globale. Quello dei quiet quitter. Ecco chi sono e perchè si stanno diffondendo sempre di più.

L’idea arriva dalla Gen Z ovvero le dimissioni tranquille (dette quiet quitting), ma che significa? Che cosa sono le "dimissioni silenziose"?

La Gen Z sta abbandonando la cultura del lavoro senza sosta per evitare il burnout (=esaurimento nervoso) e lo sta facendo in modo elegante, senza fare rumore.

Prova a "smettere silenziosamente di lavorare" o ad abbandonare l'idea di “farti troppo il mazzo nel lavoro”, come ha scritto @zkchillin in un video diventato virale che ha accumulato milioni di visualizzazioni e quasi 500.000 mi piace.

Nei vari video su questo tema, si spiega come fare a prendersi finalmente cura di se stessi con il quiet quitting, con le dimissioni silenziose.

Sono casi isolati? No. Fare il minimo indispensabile sul lavoro è diventato un fenomeno che è già globale.

L'insensatezza del lavoro moderno e la pandemia hanno portato molti di noi a mettere in discussione l'approccio al lavoro. Il quiet quitting potrebbe essere la sensazione presente già in molti di noi. E magari anche il comportamento che molti di noi già mettono in atto senza nemmeno saperlo.

Ovvero il quiet quitter pensa: “Rimango perché (ad oggi) non ho di meglio, faccio il mio ruolo, ma faccio il minimo indispensabile ed inizio a guardarmi intorno senza fretta”.

Altro che lavorare fino a tardi la sera, uscire tardi il venerdì, rispondere fuori dall’orario di lavoro su whatsapp ed alle email, proporre nuove idee, risolvere problemi, prendersi in carico il lavoro anche dei colleghi. Nulla di tutto questo. Il quiet quitter se ne guarda bene di fare queste attività, che magari prima faceva e che tutti consideravano normali, quando invece normali non lo sono affatto.

Le persone non sono stupide. Non fino a questo punto. E se non si sentono apprezzate, se non ricevono nemmeno un grazie per lavorare a Natale, Pasqua, Santo Stefano e Ferragosto, ma chi glielo fa fare?

Le relazioni non finiscono quando uno dei due dice “basta me ne vado”, le relazioni sia lavorative che amorose finiscono molto prima, quando una delle due parti diventa un quiet quitter. Ed inizia ad incrociare le braccia. E se ne frega.

Il quiet quitter è chi ha smesso di lottare, è quella persona a cui non gliene frega più niente, è la persona con cui non riesci più nemmeno a litigare, ti dà ragione a prescindere, nel lavoro come nella vita, o ti ignora del tutto.

Perché fino ad un certo punto si soffre il disagio della non soddisfazione in una relazione, dopodichè vince l'amor proprio.

La crescita esponenziale di quiet quitter è dovuta alla non soddisfazione del proprio lavoro, del trattamento che si riceve dal proprio capo, o nei rapporti con il team, o per l’eccessivo carico di lavoro o per l’ostinazione di averci in ufficio tutta la settimana senza alternare con smart working.

Un'altra causa principale è il non sentirsi apprezzati. Chi non si sente apprezzato prima o poi si stufa. È scientifico. Chi si sente apprezzato farà invece di più (e meglio) di chi non si sente apprezzato.

La great resignation, ovvero le grandi dimissioni, hanno mostrato l’apice di tutto questo.

Ma c’è un movimento molto più esteso e silenzioso. Il movimento di chi resta fermo. Di chi rimane, senza fare quasi più nulla, a scaldare una sedia diventata ormai troppo scomoda. Ed è di questo che le aziende dovrebbero preoccuparsi.

Le aziende dovrebbero preoccuparsi di chi resta. Dovrebbero prendere i quiet quitter e dargli dei motivi di gratificazione e soddisfazione, concedendo maggior flessibilità ed ottenendo maggior soddisfazione per tutti. Incominciare a dare valore alle persone, a rispettare le persone, ad apprezzarle e trattarle in modo equo.

Ed invece le aziende rincorrono chi ha già firmato da un’altra parte, rilanciando con stipendi da capogiro. Beffati due volte. "Prima non mi davi il bonus, nemmeno un grazie, adesso che me ne vado invece apri il portafoglio? Ma per favore vah".

Il nuovo mantra è: il lavoro non è la mia vita. Il mio valore non è definito da quanto mi ammazzi di lavoro.

Cosa ne pensi?

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